Controlli di qualità nei getti in ghisa

Il concetto di qualità, per un getto in ghisa, è piuttosto articolato, essendo esso associato al conseguimento di requisiti minimi relativi alla composizione, alla microstruttura, alla difettologia, alle caratteristiche meccaniche e tecnologiche. I principali sistemi di controllo della qualità nei getti in ghisa sono sinteticamente illustrati di seguito.

Indagini chimiche, microstrutturali, termiche

Analisi della composizione chimica

Avviene con metodologie differenti, anche a seconda degli elementi chimici da individuare e quantificare. Una determinazione accurata della presenza e della quantità dei vari elementi avviene per via spettrometrica attraverso l’utilizzo di quantometri; la determinazione di elementi quali carbonio e zolfo viene effettuata ossidando il campione e rilevando gli ossidi ottenuti mediante celle a infrarossi.

Una procedura certamente accurata, ma anche più onerosa in termini di tempo, è quella per “via umida”. Questo tipo di analisi consiste nel dissolvere il campione in acido e nell’analizzare la concentrazione degli elementi ricercati nella soluzione ottenuta con tecniche di analisi classica e strumentale: spettrofotometria, gravimetria o titolazione; assorbimento atomico; spettroscopia ad emissione ottica; spettrometria di massa.

Indagini microstrutturali

Avvengono con le varie procedure e strumentazioni metallografiche. La ghisa, dopo la lucidatura ed eventuale attacco chimico, viene osservata al microscopio ottico, evidenziando e identificando i vari costituenti microstrutturali. Mediante sistemi di analisi di immagine interfacciati al microscopio metallografico è possibile quantificare le percentuali dei costituenti e i parametri morfologici della grafite (nodularità, diametro equivalente, ecc.). Informazioni più specifiche e “locali” su microstruttura e composizione si possono ottenere mediante la microscopia elettronica a scansione (SEM), abbinata ad una microsonda EDS.

Metallografia – Tecniche macroscopiche

Metallografia – Tecniche microscopiche

Microscopio elettronico

Prove meccaniche

Prove meccaniche statiche e di durezza

Per prove meccaniche statiche si intendono essenzialmente i test di trazione, nei quali, in condizioni di sollecitazione mono-assiale, vengono determinati le tensioni di snervamento e di rottura, e l’allungamento a rottura. Con le prove di durezza, viene invece determinata la resistenza del materiale alla penetrazione da parte di una punta, di geometria differente, a seconda del tipo di test effettuato.

Test di trazione

Prove di durezza

Test di durezza Brinell

Test di durezza Vickers

Prove di resilienza (resistenza all’impatto)

Il test di resilienza serve per determinare la resistenza all’impatto da parte di una lega metallica. Un provino (lunghezza 55 mm, sezione 10 mm per 10 mm), eventualmente intagliato, viene sottoposto a un urto istantaneo, effettuato mediante un pendolo con un “coltello”. L’energia complessivamente assorbita durante l’urto costituisce appunto la resilienza. Se si effettua il test di resilienza strumentata, viene anche determinata la curva istantanea di assorbimento di energia, con la possibilità di distinguere tra l’energia assorbita durante l’innesco e durante la propagazione della cricca.

Test d’impatto Charpy

Prove meccaniche dinamiche

Si tratta delle prove di sollecitazione ciclica di un materiale metallico, convenzionalmente denominate come test di fatica, che per effetto di sollecitazioni alternate di trazione o di trazione-compressione porta a determinare, anche dopo un numero di cicli molto elevato, l’innesco e la propagazione di una cricca, fino alla rottura del materiale. Al variare delle condizioni di sollecitazione (assiali, a flessione, multi-assiali, rapporti di ciclo) vengono ricavate le cosiddette curve di Woehler, determinando il limite di fatica del materiale, cioè il livello di ampiezza di sollecitazione al di sotto della quale, teoricamente, il materiale presenta una resistenza a numero infinito di cicli.

Test di fatica

Prove tribologiche

In questo caso, si vuole valutare la resistenza all’usura per strisciamento o per abrasione da parte del materiale. La configurazione più diffusa è la cosiddetta “pin-on-disk”: un perno (tipicamente in acciaio per utensili o in materiale ceramico), sottoposto a un carico ben definito, viene fatto strisciare (in condizioni a secco o lubrificate) su di un disco, costituito dalla lega da caratterizzare. Vengono determinati il coefficiente di attrito durante il test e il consumo, in funzione del tempo, del disco. La prova ha soprattutto un carattere comparativo, per confrontare il comportamento di differenti categorie di materiali.

Controlli non Distruttivi (CND)

Controlli mediante ultrasuoni

Una radiazione ultrasonora si propaga senza difficoltà in un materiale metallico. Viene però riflessa qualora incontri una cavità o una inclusione. Con differenti tipologie di sonde, è quindi possibile individuare la presenza di alcune delle classi più frequenti dei difetti di un getto di fonderia, come cavità da ritiro, gas intrappolati o sviluppati dall’interazione tra sabbia, leganti e ghisa, inclusioni di scoria e particelle di ossido.

Test a ultrasuoni

Controlli radiografici

È ben noto che i raggi X, a seconda della loro intensità, possono attraversare un materiale metallico, in maniera peraltro dipendente anche dalle caratteristiche intrinseche del materiale stesso. La radiografia che ne deriva permette di individuare la presenza di cavità (ritiri di solidificazione, aria e gas intrappolati), all’interno di un getto di fonderia. Esiste anche la possibilità di effettuare, con la Tomografia Computerizzata Industriale, una ricostruzione tri-dimensionale delle cavità presenti nel materiale.

Ispezione a raggi X

Altri tipi di controlli

Esistono anche altri tipi di controlli non distruttivi applicabili al campo della fonderia di ghisa.

A questo proposito si possono menzionare:

Controlli mediante liquidi penetranti

Controlli a correnti indotte

Controlli a particelle magnetiche

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